Brownies: storia di una ricetta

Quadrotti dolci di cioccolato e frutta secca, tipici della tradizionale offerta delle bakery statunitensi ma ormai diffusi e apprezzati anche in Italia: i brownies sono un esempio di pasticceria democratica e internazionale, da declinare a seconda dei propri gusti o di ciò che si ha in dispensa.

Dolce dimenticanza o richiesta specifica?

I brownies, noti anche come chocolate brownies o Manchester brownies, sono biscotti al cioccolato, tipici dell’arte dolciaria statunitense, chiamati così per via del loro colore scuro (brown, marrone). Secondo alcuni devono la loro invenzione a una casalinga del Maine, che nel prepararle un dolce dimenticò completamente di aggiungere il lievito all’impasto e quindi, invece della torta alta e soffice che si aspettava di tirare fuori dal forno, ottenne un impasto basso e compatto come un fudge ma comunque buonissimo, che tagliò a piccoli quadrotti per servirlo ai suoi ospiti.

Secondo altri nel 1893, fu Bertha Palmer, una mondana di Chicago, moglie del proprietario del Palmer House Hotel, a chiedere a un pasticcere di creare per le donne che frequentavano il Chicago World’s Columbian Exposition, un dolce simile ad un piccolo pezzo di torta, che si potesse consumare anche durante un pranzo al sacco. Il risultato fu il Palmer House Brownie,  tutt’oggi servito ai clienti del Palmer House Hotel e secondo la stessa ricetta originale che prevedeva un ripieno di noci e una copertura di glassa alle albicocche.

La storia di un nome… e di una ricetta

Il nome “brownie” tuttavia fu dato dopo il 1893 e non venne usato dai libri di cucina o dalle riviste dell’epoca. La prima volta che questa parola apparve in un’edizione cartacea, fu per descrivere un dolce del 1896 in un libro di di Fannie Farmer, intitolato “Boston Cooking-School Cook Book”, in riferimento alle torte di melassa fatte individualmente in stampi da cucina. Le prime ricette di moderno brownie al cioccolato, morbido e più simile ad una torta, apparvero in “Home Cookery” e “Service Club Cook Book “(1904), sul “The Boston Globe” (2 aprile 1905), nella riedizione del 1906 di Fannie Farmer e nel “Lowney’s Cook Book” di Maria Willet Howard (pubblicato nel 1907 da Walter M. Lowney Company, Boston). In quest’ultima versione il brownie venne reso in forma più riconoscibile e ribattezzato “Bangor Brownie” in onore della città di Bangor, nel Maine, città natale della casalinga che, secondo la leggenda, creò la ricetta originale del brownie.

Il fascino made in Usa sull’Italia

Il successo dei golosi quadrotti brownies made in Usa in Italia si inscrive a pieno titolo nell’elenco delle ricette d’Oltreoceano di cui gli italiani subiscono il fascino, ma rispetto alle quali mantengono la capacità di rivisitare e declinare secondo i propri gusti, rivelando il cuore di un Paese meno immobile e tradizionalista di quanto si potrebbe immaginare. Gli italiani hanno cominciato a mangiare diversamente, aprendosi alle novità e declinandole secondo lo spirito culinario italico. Così, se da un lato si sono adeguati all’idea dell’hamburger, anche nella sua versione da fast food, dall’altro non hanno rinunciato a declinare in chiave gourmet le proposte provenienti dall’altra sponda dell’Atlantico,

Il brownies non fa eccezione e, per quanto apprezzato nella sua versione originale, i pasticceri nostrani non hanno rinunciato a declinarlo in chiave più “local”, esaltando la particolarità di questo dolce (ovvero la sua consistenza) nella torta tenerina, simile per ingredienti e caratterizzata da un cuore morbido e umido, con in più una crosticina zuccherata e croccante, che crea un piacevole contrasto al palato . In più esiste anche una versione bianca del brownie, chiamata amichevolmente blondie, preparata senza cacao, sostituito con il cioccolato bianco, ma simile per ingredienti e consistenza.

 

 

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